A chi tocca l’affidamento degli animali quando una coppia decide di separarsi?

Sia la legge nazionale italiana sia i tribunali si stanno sempre più adeguando ai principi espressi dal Trattato di Amsterdam che ha sancito le linee guida per la formulazione e l’attuazione delle politiche comunitarie affinché queste tengano conto anche del benessere degli animali, in quanto “esseri senzienti”.
Prima di ciò si consideravano gli animali come “oggetti”, facendo dunque applicazione della disciplina di cui agli artt. 923 e seguenti c.c.. Non poteva, quindi, essere disposto un regime di affidamento simile a quello utilizzato per i figli; i Tribunali si rifiutavano di omologare le separazioni che prevedevano clausole di quel tipo.

Più recentemente, invece, il Tribunale di Milano con decreto del 13 marzo 2013, ha ritenuto di dover accogliere, fra le clausole di una separazione consensuale, il patto secondo cui gli animali domestici (nella fattispecie i gatti) andavano affidati al coniuge presso cui era collocato il minore. Il Tribunale ha motivato il provvedimento sostenendo che l’animale domestico, secondo una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti – sia nazionali che europee – non possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose”, ma debba essere appunto riconosciuto come “essere senziente”. Secondo questa impostazione è legittima facoltà dei coniugi regolare il mantenimento e il collocamento del medesimo animale presso un coniuge piuttosto che un altro. Nella fattispecie decisa dal Tribunale di Milano, i gatti venivano quindi affidati alla madre, presso la quale era collocato il minore; la madre si impegnava a sostenere le spese ordinarie per i gatti, mentre le spese straordinarie restavano a carico dei coniugi al 50% ciascuno.
Ancor più recentemente con ordinanza del 03.02.2016 il Tribunale di Como ha riconosciuto la facoltà degli ex coniugi di inserire nella separazione consensuale una clausola volta a disciplinare il mantenimento e i tempi di frequentazione del loro cane. Il Tribunale ha motivato il provvedimento stabilendo che tale accordo non va contro alcuna norma cogente e va dunque omologato, benché il Giudice abbia consigliato alle coppie di regolare con accordi stragiudiziali le sorti del loro animale domestico.

Ma cosa succede se non c’è un accordo fra i coniugi sull’affidamento e la gestione degli animali domestici?
In questo caso, sempre il Tribunale di Milano, in una sentenza successiva al richiamato decreto del 2013, ha puntualizzato che: un conto è recepire gli accordi dei coniugi all’interno di una separazione consensuale (e ciò non è contrario al nostro ordinamento giuridico), un altro è decidere circa la sorte dell’animale domestico. Tale ultimo compito non compete al giudice della separazione (o del divorzio), dato che questi può solo statuire – quanto ai provvedimenti accessori – secondo quanto disposto dagli artt. 155 e 156 c.c., i quali articoli non contemplano certo i provvedimenti relativi agli animali da compagnia.
Il Tribunale di Roma con la recente sentenza n. 13284/16 ha statuito che nel giudizio di separazione personale non può essere esaminata la domanda di affidamento del cane perché non risulta in connessione forte con l’oggetto della causa che riguarda essenzialmente il futuro dei coniugi e soprattutto dei figli minori Nel caso di specie, la signora chiedeva che il cane fosse affidato a lei e alle figlie; ma il giudice ha ritenuto il giudizio di separazione la sede non idonea per istanze del genere, pur riconoscendo le precedenti citate sentenze che, in sede di separazione consensuale, hanno disposto anche sugli animali da compagnia.

(24.02.17)