Immaginiamo che un operaio venga colto in flagranza dal suo responsabile di reparto mentre ruba del materiale aziendale e che il suo datore di lavoro lo denunci all’Autorità Penale.
Ipotizziamo che il datore di lavoro attenda di conoscere l’esito del procedimento penale a carico del lavoratore denunciato prima di provvedere al suo licenziamento, lasciando trascorrere ben due anni.
Il licenziamento sarà legittimo?
Secondo la Corte di Cassazione no. Difatti, con una recente pronuncia (Cass. Civ., Sezione Lavoro, Ordinanza, 03.11.2021 n. 31 363) che rimarca comunque i principi da tempo affermati dalla Suprema Corte, quest’ultima ha stabilito che: “In tema di licenziamento disciplinare, la presentazione a carico di un lavoratore della denuncia per un fatto penalmente rilevante connesso con la prestazione di lavoro non consente al datore di lavoro di attendere gli esiti del procedimento penale prima di procedere alla contestazione dell’addebito, dovendosi valutare la tempestività di tale contestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore medesimo appaiono ragionevolmente sussistenti”.
La tempestività della contestazione disciplinare deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro. Se il fatto a carico del lavoratore appare ragionevolmente sussistente, il provvedimento disciplinare va adottato dal datore di lavoro al momento del suo rilevamento, quando siano emersi significativi elementi di responsabilità a carico del lavoratore, e non al momento del suo accertamento in sede penale.
Come nel caso ipotizzato ove la contestazione disciplinare del datore di lavoro andava fatta nell’immediatezza del furto commesso dal lavoratore e provato da un testimone (il responsabile di reparto), e non, tardivamente, dopo l’esito del procedimento penale a suo carico.