Va premesso, innanzitutto, che il lavoratore che agisce in giudizio contro il proprio datore di lavoro per ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di un infortunio sul lavoro, ha l’onere di provare il fatto costituente il suo inadempimento e la connessione tra tale inadempimento e il danno. Non deve provare la colpa del datore di lavoro, che si presume ai sensi dell’art. 1218 c.c..
Detto ciò, come può il datore di lavoro liberarsi dalla responsabilità per l’accadimento dell’infortunio del suo dipendente?
Quando gli venga contestata la mancata adozione di una misura di sicurezza espressamente prevista dalla legge, deve riuscire a provare che il fatto affermato dal lavoratore non è veritiero.
Qualora invece il lavoratore faccia ricorso, più genericamente, alla mancata applicazione dell’art. 2087 c.c., dovrà dimostrare di aver fornito al lavoratore tutte le misure di sicurezza consone al rischio connesso allo svolgimento di quella determinata attività lavorativa.
Ecco quindi che, nel caso preso in esame dal Giudice del Lavoro Dott. Perillo del Tribunale di Milano (sentenza n. 2410 del 28 settembre 2018), non si è ritenuto “sussistere alcuna responsabilità del datore di lavoro, che ha adottato tutte le cautele specifiche e generiche per preservare la salute del proprio dipendente ed il ricorso di quest’ultimo volto ad ottenere il risarcimento del danno va respinto”. Il lavoratore aveva subito un infortunio cadendo da una scala a piede d’elefante ma il datore di lavoro aveva provato di aver fornito adeguata informazione e formazione al proprio dipendente, facendolo partecipare a corsi sulla sicurezza, allegando altresì il proprio Documento di Valutazione dei Rischi, ove vi era una sezione specificatamente dedicata all’uso delle scale nonché alla procedura per il loro corretto utilizzo, e documentando che le scale utilizzate possedevano la certificazione di sicurezza richiesta nell’ambito UE e che non presentavano difetti di funzionamento.
(20.03.19)