Lavoro e malattia: il limite delle attività extra lavorative

Licenziare un dipendente perché durante un periodo di assenza per malattia, documentata e riconosciuta dall’INAIL come infortunio sul lavoro, era stato osservato svolgere azioni quotidiane come guidare un’auto, trascinare un trolley della spesa e utilizzare il cellulare.

Niente di più facile e legittimo per il datore di lavoro, vien da pensare.

E invece non è così. O meglio, non è esattamente così.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 23858 depositata il 5 settembre 2024, ha ribadito un principio cardine nei rapporti di lavoro: un lavoratore assente per malattia non è obbligato all’inattività assoluta, ma deve evitare comportamenti che possano compromettere la guarigione o ritardare il rientro al lavoro.

Se le attività extra lavorative del dipendente non sono incompatibili con il suo stato di salute, il suo licenziamento è ingiustificato, dicono gli Ermellini, purchè tali attività non abbiano avuto un impatto negativo sulla guarigione del lavoratore.

E’ il datore di lavoro però che deve provare, non solo che il lavoratore abbia svolto attività durante l’assenza per malattia, ma anche che essa:

  1. abbia aggravato la patologia;

2) abbia ritardato la guarigione o il rientro in servizio;

3) sia incompatibile, secondo un giudizio “ex ante”, con le condizioni mediche del dipendente.

Se non vi è correlazione tra le attività contestate e il peggioramento dello stato di salute del lavoratore, la conseguenza è che, dichiarato illegittimo il licenziamento e ordinata la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, il datore di lavoro venga anche condannato a un “pesante” risarcimento danni.