Il sogno di molti ragazzi è quello di rendere lo sport praticato una professione a tutti gli effetti, seppur siano poi ben pochi gli atleti che riescono ad emergere nel mondo professionistico. Tuttavia, la delusione per il mancato raggiungimento di certi obiettivi non preclude il proseguo dell’attività sportiva in altri modi. Orbene, non necessita essere il prossimo pallone d’oro per calcare un campo da calcio, né competere alla vittoria delle olimpiadi per poter correre in atletica.
A prescindere dunque dal livello in cui la disciplina viene praticata, i danni che ne possono derivare legittimeranno l’avanzamento di pretesa risarcitoria da parte di chi li ha patiti. Ovviamente, però, occorrerà innanzitutto valutare le dinamiche di gioco. Vi è infatti una netta differenza tra i casi in cui il danno sia frutto o meno della volontà altrui: è quindi necessario appurare che l’evento dannoso scaturitosi sia conseguenza di condotte violente ed incompatibili con le caratteristiche concrete dell’attività svolta. Persino qualora non in violazione delle regole di gioco, si avrà piena responsabilità nelle ipotesi di atti compiuti con irruenza e allo specifico scopo di fare male.
Anche dalla Ordinanza n. 15607 del 16.05.2022 della Cassazione Civile, Sezione III, emerge un principio di diritto più volte affermato dalla Suprema Corte: “I danni subiti in occasione di attività sportive non sono risarcibili qualora rientrino nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, per via del fatto che chi vi partecipa accetta il rischio, per l’appunto, di danni connessi a tale attività. Esula ovviamente da questa situazione l’ipotesi di danno cagionato con dolo, poichè esso non è la concretizzazione di un rischio normalmente connesso alla attività sportiva”.
Emerge anche l’importanza di provare quanto accaduto, ferma l’impossibilità di far valere la pretesa risarcitoria in caso di totale assenza delle prove. Laddove cioè non sia possibile dimostrare il dolo, né quindi chiarire le modalità del fatto, i danni subiti in occasione di attività sportive non saranno risarcibili perché ritenuti parte dei possibili rischi interfacciabili nello svolgimento delle stesse. Nel caso su cui si è pronunciata la Suprema Corte con la suddetta Ordinanza, infatti, il Tribunale di Roma e la Corte d’Appello di Roma avevano rigettato la domanda di risarcimento danni di un atleta per frattura del setto nasale e della bocca, avvenuta in seguito ad una testata subita in uno scontro verificatosi durante una partita di calcetto. La domanda era stata ritenuta infondata per insufficienza di prove circa le modalità dell’incidente, rendendo così ingiustificabile l’imputabilità di un comportamento colposo.