Il danno catastrofale

Il danno catastrofale, ossia la sofferenza psichica causata dalla consapevolezza di dover morire a fronte delle gravi lesioni riportate, è risarcibile a titolo di danno morale ex art. 2059 c.c..

Premettendo che in caso di perdita di un familiare a causa di una condotta illecita altrui, come nei casi di incidente stradale, di responsabilità medica o aggressioni, i familiari della vittima potranno chiedere il risarcimento dei danni subiti sia dai medesimi direttamente, quindi iure proprio, per il danno morale sofferto dalla perdita del rapporto parentale, e sia quali eredi della vittima, quindi iure hereditatis, per i danni biologici e morali patiti direttamente dalla vittima, va detto che il danno catastrofale, che rientra fra quest’ultimi, è risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente. In difetto di tale lucida consapevolezza, non è concepibile l’esistenza del danno in questione.

Ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale sofferente consapevolezza, rileva solo ai fini della sua quantificazione e non per la sua configurabilità. Difatti, con sentenza n. 5866/2015, la Corte di Cassazione ha statuito che “deve ritenersi giuridicamente scorretto escludere la risarcibilità del danno catastrofale per il solo fatto che la vittima del sinistro restò vigile per non più di due ore: ciò che rileva per affermare il diritto al risarcimento non è tanto la durata, quanto l’effettiva esistenza di un danno catastrofale, ossia dello sconvolgimento psichico patito da chi si trovi a cogliere, anche per un periodo di breve durata, il proprio momento terminale, mentre l’elemento della durata della sofferenza può incedere unicamente sulla quantificazione del risarcimento”.

In tali ipotesi, al danno biologico terminale, potrà quindi sommarsi una componente di sofferenza psichica, appunto il danno catastrofale, questo ultimo da liquidarsi in via equitativa dal giudice, tenendo conto della enormità del pregiudizio.

(10.04.17)